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Vincenzo Linares

I BEATI PAOLI

Parte Prima

In un mattino di marzo del 1780 spuntava il sole vago e splendente di tuttaluce da Capo Zafferanoquasi a illuminare un giorno di contento. Palermo parevaanimata da insolita gioiae brulicava di gente per ogni lato. Non imponenteapparecchio di soldateschenon istrani o crudeli spettacoli eccitavano ilpubblico rumore: l’Inquisizione non eseguiva da qualche tempo i suoi tremendiatti di fede: né più si dilettavano i cavalieri di tornei e di giostre: cosetutte che solevano chiamare il popolo per le piazze e nelle strade.
La moltitudine traeva a vedere il lieto spettacoloche s’avanzava per Toledoverso il Duomo. Preceduto da alcuni coperti da cappe rosse e giallechespargevano un nembo di fioricompariva lo stendardo di Santa Maria dellaPietà; seguiva uno stuolo di preti con cotte bianche; accompagnati da moltecoppie di torceportate da servi in sontuose livreevenivano appresso i seiDeputati della festa riccamente vestiti. Ma lo sguardo si fermava sopra un foltocoro di vaghe donzelle ornate di bianchi velie coronate di fioriche a due adue incedevano portando quale un martello o un chiodoquale un sudarioqualeuna corona di spinee gli altri sagri simboli della Passione.
Un tenero sorriso spuntava sulle labbra dell’unail rossore tingeva le guancedell’altraalcune avevano il volto velato di quel palloreche dà allabellezza un seducente risalto: in tutte si mostrava quell’inscio pudorecherende più caro il verginale contegno. Era un bel quadro di varie e pittoreschefigurenel quale faceva contrasto il brunoil pallidoe il bianco-roseo delleguance animate dal foco meridionaleabbellite dalla gioia e dalla mestizia.Vergognose di tanto popolo che le seguivaaffrettavan l’andare con un incessotimorosoche accresceva le grazie proprie dell’età e del sesso. Non teneremadri stavano a guardia di quel fior d’innocenzaché il cielo avevale toltea quelle figlie della sventura: in quella vece venerande matrone coll’umilecroce della penitenza accompagnavano lo stuolo delle verginettea lato dellequali formava barriera alla folla de’ curiosi lunga ala di giovani con bianchifazzoletti in mano. Erano i fidanzatiche aspettavano il momento di gridare«Questa è mia sposa.» Le fanciulle si avvicinavano alla piazza del Duomo.
Se vorranno i lettori farsi un’idea della scenache si vuol presentarenondovranno dare agli uomini di quei dì i nostri tondi cappellile nostre testerase talora sino alla pelleil viso irto di peligli abitini di panno ingleseo di Franciagiusti giustii calzoni lunghi insino ai piedii ben adattatistivaletti; ma obbliare dovranno i tempi nostrie portarsi colla immaginazioneall’epoca del mio racconto. Altri usialtre opinionialtra vitaaltreabitudini. Figuratevi una grande massa di parrucche bianchenererossastreedi cappelli a tre punteborse che caschino sopra le spallevestitoni divelluto o di seta splendenti d’oro e d’argentocorpetti ricamatibracheaffibbiate ai ginocchispadini ai fianchiscarpe luccicanti di berilli: da’terrazzi e da’ balconi sporgenti le donne co’ volti rimpiccioliti dalleimmense capellaturee le membra seppellite in quei guardinfantiche parevanocupole di chiesa. Ogni cosa rammentava ancora la boriosa goffaggine de’costumi spagnuoli.
Ai tempi nostri voi non potreste in una folla distinguerené a’ modi néagli abitila differenza delle classi. La civiltàcome ha tolta la barrierache le separavacosì ha reso più semplici e uniformi l’andamentoe leforme esteriori. Il vestito d’allora però indicava la società del tempodivisa in due condizioniuna altissimainfima l’altranobili e plebeiuomini e servi; si avveniva ad un’epocanella quale il figlio primogenito erariccoe gli altri miserila forza era giustiziala miseria doveredovere ilservire i nobilidritto nei nobili il comandare. Da un lato sfarzoricchezzainsultante cipigliodall’altro miseria e sommissione. I più elegantiportavano calzette di maglia venute di Francia insieme colle politiche sueopinioniche allora sorde sorde scendevano giù per l’Italiaessendo giàvicina a scoppiare la tremenda tempestache sconvolse l’Europa.
Figuratevi dunque questa scena per noi strana e nuova avanti il piano del Duomo;da un lato il palazzo Arcivescovile co’ suoi pesanti veroni di pietradovevedevansi luccicare gli abiti i più splendentiperché ivi eransi raunati ilVicerè e i Grandi di Corte; attorno attorno un’altra frontiera di palazziriboccanti di uominidi donnee di fanciulli. Dinanzi presentavasi il goticoedifizio del Duomo con la gran porta di marmo biancoornato di rabeschi inmezzo ai quali si scorgono figure di santidi svelte colonne alle finestredimerli che ne coronano le mura. Quattro campanili s’innalzano arditi al cielocolla punta acuta; e una ghirlanda di teste di arabiquasi a rammentare levittorie dei principi normanni su di essiorna l’estremità della parteposteriore del tempioche presenta tre semicerchi abbelliti da piccoliarchettiche s’intersecano. Magnifico edifizio con tutti i guasti del tempo edell’uomoche racchiude le ossa de’ re normannisvevi e aragonesisplendente una volta del diadema realeché ivi per antico privilegio soleansicoronare i nostri monarchi.
Oh quanto è maraviglioso l’aspetto della bellezza! Gli spettatori chi a’balconichi nella stradachi nell’atrio e nella gradinata del tempioguardavano ansiosi il drappello delle verginiche s’avanzavadando in grididi gioia; altri rapiti in estasi deliziosa stavano attenti silenziosicome l’artistache guarda un quadro del divino Urbinate. Ma la folla de’ giovaniverapassione e tormento delle donneanimata da quella emula vaghezzache la dominasempresi aggirava d’intorno divorandole cogli occhie scoppiava in quell’esclamazionidi focoche suole un bel volto strappare dalla bocca di ognunoche non abbia l’animaschiva delle dolci emozioni.
«Guarda com’è vezzosa! Che angelico viso!» sclamava un giovane scuotendo latesta carica di polvere di cipro.
«Oh! la conosco» rispondeva il compagno dopo averla ben bene squadrata: «èpromessa a quello zotico che le va allato.»
«E quell’altra» ripigliava«che ha le labbra tumidette e mezzo aperte?Pare che inviti a baciarla in bocca cento volte.»
«Quando poi si dice che Palermo non è più Palermo!» così un altroentusiasta. «Per Diana! dove trovate voi tanta bellezza? Quel profilo greco!Quegli occhi più lucenti degli occhi di un’araba! Quel viso più ardito evoluttuoso di quello d’una castigliana! Oh si vedono per Dio nelle donne diSicilia trasfuse tutte le bellezze delle varie gentiche l’han dominato. L’aspettodi ciascuna ricorda una pagina della nostra storia.»
«Io sceglierei quella bionda» entrava a dire il vicino disegnando una graciledella persona.
«Oh! che gusto matto» gli si rispondeva«quella è una figura sepolcrale. Ame piacciono le donne grassepurché la leggiadria del corpo non ne discapiti!Oh! sì queste hanno incanti per tutti gli occhiper tutti i capricci.»
«Grasse! grasse! come la moglie del beccaio» l’interruppe il primo aprendola bocca a un riso sgangherato. «La penso diversamente. Io le vo’ leggierequanto una piumavivaci come fiammeche guizzino come il pesce. Ohibò lagrassezza è nemica mortale di amore.»
«Che dite!» prorompeva un terzo«animali che siete! Volete le donne a peso?Uomini senza gusto! Secche e grasse che siano hanno un incantotutte tuttechinegli occhichi nelle bracciachi nelle spalle.»
«A quanto pare» riprese l’amator delle grasse«tu sei un famelico cheinghiotte ogni vivanda. Veramente enciclopedico! Affè che troveresti anche ilbello in quella coppia seduta colà.»
Allora gli occhi dell’allegra comitiva si rivolsero sopra due lacere donneche stavano sulla gradinata del tempio a cicalarel’una smilza e spolpata chepareva uno steccolunga lunga come un palo; l’altra brunatarchiataconocchi furbi e malignie le spalle che uscivano dai cenci sudice come un muro dicucinacon un visaccio ove leggi un cuore d’infernodi quelle insomma chevinte dalla negghiezzaingrassano accattando e insultando impunemente per lestrade.
«Ai tempi miei altro che queste sguaiate!» così la secca non potendo frenarel’invidiache la rodeva alla vista di tante fanciulle.
«Mi ricordosorellaquand’io era ragazza— anch’io mi ebbi ilfazzoletto.»
«Ah!» sclamava l’altra pitonessa gittando un sospironech’esprimeva tantianni di miseria e di cattiva vita.
«Quanti signoroni» osservava la prima«vanno loro appresso— oh! non ècotesto il Marchese Ruggieroche pare si mangi le donne con gli occhi?»
«Lui proprio!» brontolò la bruna appuntando gli occhi maligni. «E ci volevatanto a rompersi la nocedel collo? Piantarmi qui per tre ore!»
«Già lo sova in pazzia per una giovane di questee vorrebbe— Gli èproprio incontentabile. Quante ne vedetante ne vuole.»
«Ma i denarisai li sparge a bizzeffe; e la mia padrona suol dire chepasserebbe per lui sopra il fuoco.»
«Chi! Comare Anna! Anna Bonanno vuoi tu dire la stregacolei che si consigliacolla versiera? Bello esempio che mi porti; ma ti dico che questo non è giornodi lunedìse non prenderai una bolla di sapone. Stai fresca! Il futuro sposodi lei non è uomo da farsi posare una mosca sul naso.»
«Puff! non mi chiamo Marianna Pitarra» rispose con un ghigno disprezzo«se—»
Colei l’interruppe. «Non ti mettere in questi imbrogliMarianna mia. Te l’hodetto: questa padrona ti porta al precipizio; ma bada che la giustizia ti ha gliocchi addosso; e ricorda Tofaniache lasciò la pelle sopra una forca.»
(1)<beatnote.htm>
L’altra scrollò la testa sdegnosasiccome una pera calcataed era perprorompere in qualche bestemmiaquando lo scroscio di risache uscì daldrappello de’ giovani venne a troncare la loro conversazione. Essevedendosiscopo alla derisionescesero dalla gradinatae la bruna cioè la Pitarragiacché dell’altra non monta sapere il nomeandò a situarsi presso ilMarchesecon cui scambiò qualche guardo d’intelligenza.
«Oh! è là quel pazzo» gridò allora l’allegra comitiva scoprendo ilcavaliero.
Era costui appoggiato a un pilastrofisso guardando una giovinetta di quelleche venivano a coro. Come vede la Pitarra le fa cenno di seguirloe tutt’a untratto si stacca dal pilastroattraversa la follae va a piantiarsi vicino acoleisulla quale rivolgeva gli sguardi infiammati.
La giovanetta stava incerta e tremante. Ai grandi occhi che modesti spiavano d’intornoal pallore delle goteall’ansia che le agitava il bianchissimo pettoscorgevasi l’inquietudine suauna rassegnazioneuna angosciache lafacevano impallidiree arrossire a vicenda. Ognuno avrebbe detto "Il suocuore non è sereno". Aveva un volto di paradisotondo ingenuodovelampeggiava la speranzasoffocata da quel dubbio crudeleche più martella ilcuore delle giovanettequanto più son vicine a possedere la sperata felicità.Ch’era dunque il sentimentoche offuscava la bellezza di lei? Quale ignototurbamento faceva increspare quella fronteinaridire quelle labbrainumidirquello sguardo? All’improvviso schiude i labbrie gira gli occhi incerti d’intornopoi li chiude sotto alle grandi palpebree manda un sospiro. Perché sospira lavergine? È forse questo lo alito di amore? È la voce della sventura?
Ad ogni modo l’affanno l’aveva raggiunta col suo braccio di piomboma nonaveva ancora distrutta la verginale freschezza del suo voltodove posava unamestizia arcana e misteriosa. Ella veniva a passi timidi e lentie sembravaavere quindici anni. La sua capellatura nera cadeva con anella capricciose sullesue spalleun laccio nero con una crocettina d’oro faceva rilevare labianchezza del collosul quale la luce brillava per intervalli. A traverso ilvelo bianco e trasparenteche attaccato alla testa scendeva sino alle gambesivedevano i leggieri contorni del suo corpo agile e snello. Era una figuraspiccata da un quadro del Correggiospirante una grazia tutta pura e santadicui la ingenua bellezza avrebbe intenerito i cuori i più durie allontanatogli assalti del libertinaggioe dell’impudenza.
Ma non valse a stornare l’ardito signore dal muoverle guerratutto pieno d’insultantefiducia nella sua giovinezzae nell’alta prosapia da cui derivava. All’abitosplendente d’oro e d’argentoai merletti che gli ornavano il petto e lemanichealla spada attaccata al fiancoalle scarpe di velluto luccicanti diberilliall’orgoglio aristocratico che spirava la sua testa incipriatal’avrestidetto uno dei rampolli del sangue bleudi quei piccoli tiranni del secoloscorso.
Il marchese Ruggiero esciva d’una storica famigliala cui origine rimontavaall’epoca della conquista normanna. A venti anni appena disponeva d’immensibenie pareva trasfusa in lui solo l’albagia di tutti i suoi antenatifamosiper vile opulenzanon per virtùin una discendenza di secoli. Insultando gliuomini coi suoi modie col fastoera poi il tormento delle donneche volevarender vittime di una depravazione senza limite.
A quei tempi l’Italiaabbattuto il feudalismopareva risorta a miti costumia una vita più libera e indipendente. Desti dalla voce del Beccaria e delFilangeri gli animi mostravansi proclivi alle utili riformeavversi aiprivilegiall’esenzioni ed era universalmente un più acceso desiderio divedere lo stato ridotto a miglior formagli ordini accomunatitolta labarriera che separava le classi. Correvano i giorni di Leopoldo e di Giuseppe.Ma in Sicilia le opinioni del secolo trionfavano lentamente: e a quei tempi inomi di mero e misto im-periodi feudi e di vassalli non avevano scapitato granfatto.
Grande la potenza de’ baroni nelle terre feudalima non men grande e forsemaggiore in Palermodovenon ostante la presenza del Capo del Governoognicosa era nelle mani lorola tutela delle persone
(2)<beatnote.htm>l’amministrazione dellerendite della città (3)<beatnote.htm>la distribuzione degl’impieghi(4) <beatnote.htm>.Il nerbo principale del parlamento siciliano era nei baroniperché più ricchie più numerosi. La Deputazione del regnoil più alto magistratoquello cherappresentava la nazione perennemente in mancanza del parlamentoera semprequasi per intero composta di baronie di cadetti. Se a tanta autorità siaggiungano quei bravi armigeri loro (unica forza che fosse nello Stato)e leaccumulate ricchezzee i privilegie l’esenzionisi avrà forse un’ideadi quanti e’ potessero.
Un di questi potenti era dunque il marchese. Avvolgevasi in un largo mantello discarlatto. Gli arroganti suoi modi eranose non assoltiscusati in parte dall’etàgiovanile: nel suo sguardo appariva il fuoco dell’animaammortito da’ vizie nel cerchio giallastro attorno le palpebree nella pallidezza infermiccia delvolto si vedevano i guasti del libertinaggioche colla disonesta improntadegradava la sua nobile figura. La folla si apriva riverente ai suoi passi: edegli piantossi senza ostacolo a fianco della fanciullaseguito dalla donnamalignacome un generale che viene a situarsi rimpetto il castelloche devescalare.
«Quella giovane! eh! com’è bella! Più bella del sole che ci guarda!» lemormorava all’orecchio guardandola con la irriverenza di un occhio lascivo.«Divina veramente! Oh! sarei pur felice se potessi!— Ma perché gli occhibassi? Perché foggire il mio volto? Oh! sono forse un tuo nemico? Son tale cheti adoro!»
La fanciulla abbassava lo sguardoarrossiva nel volto non usa a quelle parolee guardava d’intorno quasi cercando fra i molti spettatori chi potesseliberarla da tanta molestia. Or si fermava per dargli tempo di tirare avantiora affrettava il passoe divorava col guardo la stradache doveva percorrereper arrivare al Duomo. Ma quegli dominato dal folle pensieroe vieppiù puntodalla onesta ritrosia della donnavenivale al fianco licenziosamente urtandolacol braccioe poco curando il luogodove erae i molti circostanti chefremendo il miravano.
L’atto indegno produsse l’effettoche suol venire da una cattiva azionedauna prepotenza. Gli oltraggi al pudore son quelli che più si sentono dall’uomoperché van diretti a ferire la domestica pacea cui è attaccato per tutti ivincoli più cari. Tutti col guardo e col cuore avrebber voluto slanciarsi indifesa della vergine: ma niuno si mosseusi com’erano (o tristi tempi!) aveder sempre e soffrire la baldanza signorile.
«Ora vedete» si dicevano fremendo sottovoce«che ardire! che boria!Insultare una povera figlia!»
«È questa impresa da cavaliere?»
«Che razza di città ha da diventare la nostra?»
«Questi signoroni vogliono i denari nostrila casala pelle nostraed anchele mogli!»
«Ma niuno verrà a romper loro le braccia?» sclamò un uomoche sembravaavere più cuore degli altri. «Per Diogli darei un ceffatone.» E si muoveva.
«Per carità» gli diceva la moglie tirandolo pel vestito«pensa ai tuoiquattro figliuoli.»
«Zitto là» il compare sussurravagli all’orecchioe lo teneva pel braccio.«Non sai dunque? Gli è il marchese Ruggieroun ricco sfondatounprepotentaccio! Sai quanti scherani tiene ai suoi comandi? Quanti trabocchetti eprigioni nel suo palazzo? Bah! chi può solamente guardargli in visoe nonaspettarsi due palle in fronte?»
In questa un giovanedi cui le sembianze rivelano un’anima indomabileunaprofonda passionesi fa largo in mezzo alla folladà un forte urtone alladonna cenciosache cade a terrae arriva a tempo per mettersi fra l’assalitoree l’assalita in modo brusco e inaspettato. L’aiuto non poteva giungere inmiglior puntoe fu da’ circostanti bene accolto e applaudito. Il crocchio deigiovaniche stava a vederesorpreso dall’insolito ardimentofermò per pocogli arguti mottie le risa prevedendo una baruffa.
Gli occhi della fanciulla brillarono di gioiale sue labbra ripresero un colordi corallo e aprì la bocca ad un sorriso.
«Oh sei qui alla fineFrancesco?» gli disse con voce dolce e tremante.
Egliscoppiando dalla colleranon rispose alle amorose parolee con occhibiechi e in atto minaccioso guardava il cavalierequasi dicendogli "Veniteavantil’avete a fare con me."
Qualche guardiache vegliava al buon ordinecome gli vide annuvolato il voltosi accosto per impedire un disordine. Il cavaliere lo stette guardando unistante con aria torva e disdegnosala destra gli corse involontaria allaspada: poi come colpito a un tratto da un nuovo concetto che gli fosse balenatoin menterispose con un sorriso di disprezzoe avvolgendosi nel mantello sisperde nella folladove lo seguì con aria misteriosa la rea pitoccach’erasibrontolando rialzata da terra.
Alla partenza del Marchese i nostri personaggi rimasero tranquillie sisentirono come sgravare d’un gran peso. Francesco volgeva uno sguardo amorosoalla fanciullache ancora intimorita camminava al suo fianco.
«Perché tremiMaria? Son io teco» le dice con un riso per serenarla«nontemere di nulla.»
Entravano nel Duomoe si avvicinava l’ora della scelta.
Antica usanza era fra noior non è piùdi raccogliere nel Monte della Pietàle orfane donzelleprive di parentie di mezzi da vivere: ove lontane dalleseduzioni e dai pericoli dell’età crescevano all’onoresi educavano ne’sani principi moralie nelle arti donnesche. Poi quando erano atte a maritoesponevansi alla pubblica vista in un giorno di marzoproprio il lunedì santoe convenivano nel Duomo. Coluiche si fosse invaghito di alcuna di essegittavale un fazzoletto: era quello il segnale della scelta. Niuna dote portavase non l’onestà; niuna ricchezzase non la beltà e le grazie ingenue d’unaverginella. Buona usanzae gradita a quelleche venivano elettema dolorosa aquelle che rimanevanoe spesso cagione di disordini per la immensa folla de’curiosi e de’ libertini. Quest’era la Festa delle Verginelle.
Nel giornodi cui parliamoudivasi un batter di maniliete risae voci digioia; saltavano per aria i fazzoletti in segno di trionfosi vedevano giovanicaldi di amorevivaci donzelletterese più vaghe dal contentoche viene dapassione corrisposta in mezzo a gruppi di gente che tutto empivano il tempio;allegre coppie inginocchiavansi avanti gli altari a ricevere la benedizione delpretefra gli evviva degli astantimentre che le campane suonavano a festa. Altempo stesso miravansi vergini piangentiocchi biechisperanze delusetraditiamoriabbandoni crudeli: si udì qualche minacciaqualche equivoco avvennequalche rissa scoppiò che poteva appicciare un gran fuoco. Il Vicerè ne fudolenteperché vide per poco vacillare la pubblica quiete: non volle piùesporre la bellezza a un pubblico rifiutoe il popolo a pericolosi cimenti. Ful’ultima esposizione.
In mezzo al trambusto Francesco dava a Maria il fazzoletto; che l’accoglievacon trasportoprendevala dolcemente pel braccioe la conduceva all’altaredall’altare alla casa. Essi erano ebbri di amore da due anni che si vedevano.Non furono benedetti da’ loro parenti. Mariapovera orfanellanon ne aveva;il padre di Francesco era mortola madre caparbia ostinatacome tutte levecchienon voleva dare suo figlio a un’orfana senza dote. Le madri quandosono vecchieo per amore o per invidiasono gelose sino ai capelli di ognisguardo de’ figlipiù che un arabo della sua mogliee non vorrebberotorseli da latoper vederli nelle braccia di un’altra donna. Ma in queldelizioso momento essi obbliavano e gli sguardi del lascivo signoree lo sdegnodella madre; e si abbandonavano a tutta la gioia di un primo amore.
«Alfine sei miaalfine ti ho fra le bracciaMarietta mia.»
«Ed io temeva che non fossi venuto.»
«Come! lo credevi? Dubitasti dell’amor mio?»
«Ma perché indugiare cotanto?»
«Faccende di casa— mia madre— ma a che pensare al passato? Ti amo iotanto!»
«Mi ami dunqueo Francesco?»
«Più dell’anima mia!» diceva più volte baciandola in bocca e per tutta lafaccia.
«Ora vieni prostriamoci qui davanti la effigie della Verginegiurami che miamerai sempre.»
«Lo giuro.»
«O vergine santagran mercé» sclamava la fanciullache per la gioia avevail volto bagnato di lagrime. «Quanto ho bramato questo momento! Ho pregatoIddio tante volte! Né credeva di giungere a questo bene io misera creaturaabbandonata dagli uomini. Ora sono tuatuFrancescosei mio. Oh! non ci credodi averti fra le braccia.»
«Senti Marietta; non posso darti ricchezzesono un povero uomo. Questa casa ètuatuo è quel poco che qui vedi. Ho due braccia pronte alla fatica: e se ilcielo mi darà la provvidenzae me la darànon invidieremo il bene d’alcuno.Sei contenta?»
«Cotesto che diciè segno che non mi conosci. Non posso dunque colle mie manialleviarti il travaglioasciugarti il sudore? Non sono avvezza alle lagrime?Oh! ripetimi un’altra volta che mi amie sarò felice.»
«Sì cor mioti amo più di me stessolo giuro su questa tua mano che baciosu questo tuo bellissimo corpo che abbraccioper l’anima mia te lo giuro.»
«Francesco mio!»
«Marietta mia!»
E così que’ buoni giovanetti erano felici.

Parte Seconda

Corrado era dunqueil lettore lo avrà supposto nella sala del tribunalesegretodi cui si è parlato. Avvoltocome tutti gli altriin una veste neraegli riguardava quella scena con una maraviglia mista ad orroree di quando aquando toccava il pomo della spadaquasi per accertarsi che aveva pure uncompagno in ogni eventorisoluto a vender cara la sua vitadove il bisogno locomandasse.
In quel momento si presentò innanzi la porta un uomo attempatonel cui voltoimbrunito dal sole mostravasi un profondo dolore. Portava gli abiti di foreseenel suo corpo debole e cadentee nelle braccia nude ed istecchite vedevansi isegni dell’età e della miseria.
«Sei tuTommaso?» disse colui che faceva da Capo.
Un profondo sospiro uscì dal petto del vecchio foreseche toltosi il berrettoscoprì i suoi canuti capelli.
«Signori» poi sclamò«ho bisogno della vostra assistenza.»
«Di’ meglio fratelli e compagni. Noi ci ricordiamo ancora de’ servigi da teresidelle pruove di coraggio e di rettitudineche hai dato; ci ricordiamo chetu sedevi qui a noi vicino. Se la vecchiaia ti vieta di continuare una vitaattiva e laboriosatu non devi mancare di soccorso. In che possiamo giovarti?Quale disgrazia ha piombato sulla casa del degno Tommaso?»
«Chiedo la vostra protezionegiacché mi viene negata quellache la legge ela giustizia dovrebbe accordare ad ogni uomo. Voi sapete la rovina della miafamigliala morte di due figliche Dio mi tolse.»
«Povero Tommaso! Pur troppo sappiamo la tua sventura.»
«Oh! è dolorosa la morte dei figli; ma vederseli rapiti dagli uominiquestoè quello che passa ogni umano dolore. Un solo figlio mi era rimasoAntoniouna creatura di sedici annila mia gioiail mio dilettola mia speranza edella povera mia moglie. Disgraziatamente un giornopreso da vaghezza dicacciares’introdusse nella chiusa del Signore del nostro villaggiononpensando che ivi era proibito entrare. Tosto un can mastino gli fu addossoe lomorsealtri se gli slanciarono contro; sicché fu costrettoper salvarsi lavitasparare contro di essi lo schioppoe ne stramazzò uno a terra; gli altriguaiendo ritiraronsi al palazzo. Al colpo uscironocome tanti leonii custodiarmati di schioppi e con mazze ferrate. Qui non vi dico la scena che successeeil mal governo che fecero del povero mio figlio. Fu preso e arre-statorinchiuso in una carcere orrendafu posto alle torture. E questo è poco; aldoppio al triplo fu tassato il mio piccolo poderei servigi aumentatidirittiinfernali furono messi avantionde privarmi della mia piccola casa. Io migittai ai piedi del Signore.
«"Pietà!" gli dissi supplichevole. "Non vi do forse le primiziedelle spighee delle ulive che raccolgo? Non vi zappo le vostre terre colle miemani? Non vi ho nella mia gioventù accompagnato in guerrae difeso la vostracolla mia persona? Ed ora volete tormi l’appoggio della mia vecchiezzascacciarmi dall’umile casa che mi ricovra? Oh! vi prego come si prega Iddio.Pietàpietà! Perdonate un’errore giovanileprendetevi tuttoma datemi ilmio figlio."
«Inutili furono le preghieree le lagrime: mi aggirava invano attorno ilcastellosentiva le grida ed i pianti del misero Antonio: le alabarde deglischerani me ne allontavano. Ansante di dolore implorai il soccorso della legge.Vado dal capitano giustiziereil quale all’udire il nome del Principe:"Tu sei pazzo" mi dicee non vuole ascoltarmi. Vengo in Palermo agittarmi ai piedi dell’Avvocato fiscaleil quale sembrò volermi proteggere.Ordini sopra ordinie njuno effetto. Il Principe se ne ridee mio figliomarcisce nelle carcerie crudi strazi si sono rinnovati sul suo misero corpo.Dio buonocome potrà quella creatura resistere? Io nol potrò certamentenél’afflitta mia moglie; noi moriremo di pena.»
Parvero tutti commossi ai detti di Tommaso.
«Buon vecchio» gli dice il Capo«tu troverai giustizia. Vi ha chi vegliaall’aiuto del miseroa riparare i torti degli uomini. La nostra vocetu saiè segretama la mano è pronta e tremenda: questa si alza già in tuo favoree guai al perverso Signoreche ha osato turbare la pace dell’onesta famigliae strappare le lagrime di un vecchio infelice. La spada della giustizia pendegià sul suo capo.»
«Sìcada sul suo capo» sclamarono tutti a una vocee un suon d’armerintronò per la sala.
Due lagrime di contentezza e di speranza irrigarono le gote del vecchio.
«Or vanne» gli fu detto.
Le guardie s’avanzaronoe condussero Tommaso alla portaper la quale eraentrato.
Il silenzio successe a questa scenache pareva avesse cagionato una fortecommozione. Dopo qualche pausa cominciarono la seduta.
«Ho avuto precise notizie sull’affare dello spagnuolo. Oh! questi stranierivengono a torci le leggii costumila roba. Ingordiavarisuperbi!»
«Ma la colpa non è del tribunaleche decise la causa a suo favore?»
«Noil giudice relator della causa ha ingannato il tribunale. Io che sono aisuoi servizilo vidi più volte col ricco spagnuoloe una sera ch’ebberolunga conferenzasentii un suon di monete. La causa fu vendutacome la suaanima all’inferno.»
«Nel foro d’altro non si parla che dell’iniqua sentenza.»
«L’onesto mercante è rimasto povero e pazzospoglio di casedi benie dionoree langue in una prigione.»
«Oh! merita aiuto.»
«Ma noi abbiamo maniera per dar denaro a chi ne abbisogna; la nostra societànon è una banca di soccorso.»
«Vendetta dunque.»
«Sì vendetta.»
«Il giudice relatore si uccida.»
«Noè troppo.»
«Nulla è troppo per chi tradisce la giustizia.»
«Gli sia mozza la mano scelleratache ha segnata la sentenza.»
Fu da tutti concordemente approvato il taglio della manoe due di essi furonoincaricati della esecuzione. Coluich’era ai servizi del giudicedovevaapprestarne il modo. Il segretario prese registro di questa decisione.
«Io ho eseguito la mia commissione. L’ipocrita ministro dell’Inquisizioneche voleva portare il disonore in quella buona famigliaha avuto una lezionetaleche non tornerà a tormentarla. L’ho colto sul punto che saliva lescalevestito da donna. Con un grosso e nodoso bastone gli appiccai una buonamedicina alle spalle. Egli atterrito rotolò giù per la scalae ad ogni sbalzogittava uno strido proprio come il topo in bocca del gattosicché s’adunòtutto il vicinatoche vedendo quel brutto ceffo pesto e mal conciosottospoglie donneschegli corsero dietro come a un trastulloe con gridi e fischie calcie spintoni l’accompagnarono fino a casa.»
Uno scroscio di risa scoppiò fra gli astantiche addolcì per poco i loroterribili aspetti. Quando si furono po’ rimessi dalla gioiaa cui si eranoper poco abbandonatiripigliarono con gravità i processi di quella tornata.
Nelle piazze si è udita con sorpresa mista a piacere l’uccisione di Masaccioscherano del superbo Marchesee complice de’ suoi delitti.
«Il suo cadavere si è trovato avanti la porta dell’orfana famigliachepiange tuttora la perdita del padre ucciso da quello scellerato.»
«Vendetta di Dio tutti dicono.»
«E tal sia la punizione del malvagio.»
«Prospero in queste cose ha l’animo prontoe la mano giusta; i suoi colpinon fallano mai.»
«Viva Prospero che ha dato il colpo.»
«In mano di giudici e tribunali questo affare sarebbe sfumato come una bolla disapone: e Massaccio resterebbe impunito ad insultare l’orfana famiglia.»
«La giustizia qui procede con una forza tacita e di-gnitosa; e raggiugne ilmalvagioquando men se l’aspetta. La memoria di simili esempisperiamofarà negli animi germogliare la spenta virtù. I Baroni dovranno tremare dentroai loro palazziil popolo potrebbe animarsi d’un nobile coraggio.»
«L’Inquisizione trionfa protetta dal braccio secolarearrestaimprigionastraziae brucia. E che non tentae che non fa?»
«Parliamo piano quando si tratta d’Inquisizione. Mostro sbucato d’infernoha dappertutto un orecchioun occhio dappertutto! Chi ci assicura che qualcunoqui non ci ascoltie non registri il nostro nome in quei libri di sangue?»
«I suoi araldi hanno eseguito molti arresti.»
«Nuove vittimenuovi tormenti.»
«Dicono per molinismo.»
«Nemmeno per sogno; conosco qualcuno di quei disgraziatiche ha tenuto unacondotta intemerata.»
«Oh! è stato per personale vendetta.»
«Ma chi può fidarsi trarli da’ loro artigli?»
«Assaltiamo le carceridiamo fuoco al palazzo de’ Chiaramontidov’è l’abborritotribunalesi faccia l’ultimo Auto-de-fema di tutti i ministri dell’Inquisizione.»
«Che dite mai? Siete usciti di senno? Ciò è contratio al nostro istituto. Lecose riescono a meglio fatte nel mistero e posatamente. La forza aperta a che cicondurrebbe? Pensate che il popolo sarebbe per noi? E chi gli ha mai detto chenoi siamo i suoi migliori amici? E dicendoglielo ci crederebbe egli? Oh lo veggopur troppo! i com-pagnii buoni compagni ci mancanol’animo ci manca: lepassioni ci travierannose non le deporremo al limitare di quella porta. Noidobbiamo essere pazienti e circospetti. Riparare gli altrui tortital’è ilnostro istituto; ma all’ombra del mistero. Ho motivo anzi di dolermi diProspero che fa causa del disturbo avvenuto la sera della festa dellaConcezione. Grave tumulto ne avvennefurtiassassini. Per San Paoloprotettore! questa imprudenza è pericolosae tale da compromettere noitutti.»
«Io soffersi una violenzaebbi de’ colpi da Corrado figlio del principe di—perché amò di quanto amore si possa amare una giovaneche ha sedotto e a metolto. Vedeteio grondo sangue: non sono già che pochi minutie fui dallostesso feritoe per miracolo scampai la vita dai colpi della sua spada.Dobbiamo esser vittima della prepotenza? Vederci rapire le donne? Vederciinsultare e minacciare? Io chiedo vendetta.»
«L’avrà senz’altro.»
«Muoia Corrado.»
«Compagni» ripigliava il Capo«non vi lasciate trasportare dallo sdegno.Noi dobbiamo prima riflettere con maturità le cose. Così vuole la giustizia.Bisogna veder la condotta di Corradoveder se la giovane—»
«È un discolo!»
«È un nobile!»
«Un prepotente!»
«Ha offeso un compagno.»
«Muoia Corrado.»
«Sìmuoia» gridarono a coro.
Si mosse allora da una nicchia una figuraquasi in alto di slanciarsiminacciosa— ma in questo entrò improvviso una guardiache stava allavedetta.
«L’ora è avanzata. Alcuni rondano attorno la casa.»
«Chi sarà mai?»
«Sono scherani de’ Baroni?»
«Algozili della corte? Alari dell’Inquisizione?»
«Fermi lànon si faccia rumorenon diamo sospetto.»
Poco dopo entrò un’altra guardiae annunziò che tutto era silenzioepotevano uscire. Così ad uno ad uno difilaronoe si dispersero quietamente.
Corrado trovossi in mezzo al piano impietrito dalla orribile scena. La sua vitaera dunque in pericolo la sua sorte decisa: in ogni mano poteva trovare unpugnalein ogni uomo un nemicoin ogni occhio un delatore. Chi erano dunquecostoroche decidevano della sorte degli uomini? Certo egli erache il suonemicoProsperotrovavasi fra loroe non avrebbe mancato di far su di luiatroce vendetta. Chi può difendersi dall’assassinio?
Egli grondava un sudore freddo freddole sue membra erano convulse. Mosso dallosdegno fu più volte sul punto di slanciarsi furibondo in mezzo a loroma nonera lo stesso che incontrare una morte sicura? Che fare? Che risolvere adunque?La notte era trascorsavicino il giornoe si avviò a casacombattuto daopposti e tumultuosi pensieri.

E Costanza frattanto?
Non appena fu scossa dalla voce di Corradoslanciossi alla finestrae qual fuil suo spavento nell’udire gli urli e le percosse? Mise un grido di orroreeansante si mosse per correre alle scale; ma le forze le mancanoe cade sulpavimento priva di sensi.
Quando ella si fu risentitatutto era silenzio -- guarda in stradanon c’èanima viva.
«Oh non era quella la voce di Corrado? Non era egli alle prese con quell’uomo?M’ingannarono forse le mie orecchie? Gli occhi travidero? Che fosse unavisione?» E qui si abbandona ai più forti timori. «Dio lo preservi» poisclamava«da qualche disgraziaDio vegli sui suoi passi. Questa è appunto l’orain cui suole venire: vengavenga a tormi dall’orribile affanno.»
E guarda altra voltae rientra nelle stanzee corre alla finestra tremante dipauracol cuore scoppiante di dolore. Ma Corrado non vienepassa la notteenon si vede.
Il domani la strada fu piena di quell’occorso: si dissero mille e più cosesecondo che la fantasia e la paura le andava figurando. Furon trovate macchie disangue avanti la soglia della casache accrebbero le vocied i sospetti. Siraccontano gridiurliferiteassassini: si disse financo che un manigoldotraeva per forza una donzella; un cavaliere che lo seguivagli diede un grancolpo di spadalo stramazzò a terrae ne andò bravamente con la donna.
Costanza tremava a sentir quegli orroriné svelò altrui le sue paure; macrescendo in lei i sospetti sgomentavasisveniva di spavento. All’improvvisofu scossa da un gran rumoreda bisbiglida un confuso cicalecccio. A poco apoco il rumore si fa più distintoe poi prorompe in un grande scoppio di urlie di grida. Fattasi al veronevede torme di popolo commosso correreagitarsipoi altre urlare e minacciare. Alla testa era un vecchioche indossava manto eveste alla foggia istessadi ch’è maniera figurare il padre putativo diGesù. Aveva la barba lunga e capei lunghidiceva esser mandato da Dio aredimere il popoloa toglier la miseriaa portar l’abbondanza. Parevaispiratoparlava come un frenetico parole forti e sedizioseche accendevano avendetta. Un gran numero di donne gli correvano d’appresso urlando e gridando.Il Santo veniva intanto furibondoe quando fu sotto la finestra di Costanzaguardolla con ciglio minaccioso.
In questo molti archibusieri spagnuoli sbucano da porta Carbonee attaccano lamischia. Qui vociminaccebestemmiee grida doloroseurtonicolpi d’archibusie di daghe: le pietre e i legni volavano per aria. Dai tetti e dalle finestregli uomini e le donne lanciavano sassitegolie masserizie sulla testa degliarchibusieri; il che accresceva lo eccidio ed il fracasso: le palle fischiavanocome saette. Sorgiugne dall’altro lato una banda di soldati a cavallochesbalzano in mezzo della follaurtando e pestando quanti loro si parano dinanzi.
«Addietrocanaglia maledetta» gridanoe menano attorno le sciabolesanguinose.
Fu orribile la mischia. Il popolo da prima resistè co’ bastoni e col numeroma poicesse alla forza delle armidiè indietroe sgominosse orribilmente.Il Santo trascinato or qua or là dalla calcadà finalmente uno stra-mazzoneper terra; il suo manto si avvolge nel fangocadongli la barba e i capeiposticci si scuopre il volto—
«Ohè!» sentesi gridare«nol vedi? È Prospero!»
«Guardaoh il gabbadeo!»
«Oh il briaco!»
«Darci ad intendere ch’era un santo!»
«Voleva— chi sa che voleva? Rubarci assassinarci.»
Incalzano intanto i soldati. Le donnegli uominii fanciulli scoraggiatiurtaticacciati si sperdonoritrag-gonsitornanofuggono di nuovosiadunano altroveco-me pecchie buttati dall’arnia.
Allora di questi trambusti n’era facile l’esempiocome facile il sedarli.Da che sin dal 1647 Giuseppe Alessi aveva chiamato la plebe alla rivoltamoltialtri popolari trambusti nel proseguimento di quel secoloe nel principio diquestoche descriviamos’eran veduti in vari punti dell’isola. Non parlogià dei famosi tumulti di Messinache nati dalla carestiae volti a finipolitici dalle cittadine contesee dallo intervento di Franciadiedero luogo aquella gloriosa e disgraziata guerra che tutti sanno. In Trapani si era mossa laplebaglia a causa di fame: lo stesso era avvenuto altrovee in Palermo piùvolte.
Il popolo penuriava mai sempre di panegemeva come il bue sotto il peso dipubbliche gravezzee come il bue alle volte scuoteva le cornae poi tornavaumile e paziente.
Altra esca aggiungevano al fuocoche a quando a quando divampavale nuove oralte or basse della guerrache mezza Europa congiunta mosse contro Filippo Vper la successione di Spagna. Le armate austriache inondavano l’Italia; e lavicina Napoli e parte delle Calabrie occupavano. Qui erano timorisospettipaurafomentati dalla guerraaccresciuti da fiera pestilenza e dalla fame: quivedevansi sorgere vili uomini a muovere la plebaglia: Uno speziale della terradi Noara aveva con altri ordita una congiurasperando divenire Re di Sicilia:alcuno aveva cercato di spingere il popolo all’austriaco partito. Un cocchieredi nome Giovanni Mauro si era fatto capo di una cospirazione a favore dell’Austria;la venuta di alcuni reggimenti irlandesi aveva prodotto un orribile tumulto.
Prospero voleva pescare nel torbidoe chi sa quali sinistre intenzioni non eranin luise non fosse statoappena scopertovinto. Nondimeno ebbe egli ildestro di svignarsela fra la folla.
Costanza ebbe a mirare l’orribile mischiama qual fu il suo spavento quandovide a un tratto il volto del suo crudele nemicodico di Prosperoche venne acascare proprio innanzi la sua casa? Fu lì per cadere morta dallo spaventosipose le mani agli occhi per non vederseloe chiuse la finestra. Ad ogni momentole pareva di vederselo dinanzi minacciosomise le spranghe alla portae passòla notte in veglia aspettando invano il suo Corradoe tremando di qualchesinistro.
La sera che seguì quel giornoe il giorno appresso molte figure sospette sividero girar per istrada fermarsi al puntone. Spariretornare ad appostarsimuti e tenebrosi come il tradimento. Nuovi motivi di terrore. Un di essiaccostossi vicino la casa di Costanzaavvolto in una specie di sarrocchinoeun berretto giù sino agli occhile mani incrocicchiateche pareva un santo.
Raccontava una vicinache s’accostò a leie le chiese di tale o tale altrocon parole tronche e misteriose: che avea certi occhiacci da far paurae cheguardava d’intorno come se temesse d’essere scoperto; poi venne un compagnocollo stesso abito e un rosario alla manoe se ne andarono parlottando fra lorocon mistero.
Consideri il lettore la paura di Costanza. Calda di amoretimida di ogni auratremante ad ogni sospetto gemeva come una tortorech’è priva del suocompagno. La casa era in luogo desertovicino la spiaggia del mare. Cadeva ilgiornoil vento fischiava impetuoso; i flutti mandavano un rimbombo lamentosorompendosi agli scoglie sulla riva. Il cielo era foscoe a quando a quandosquarciavasi mostrando vampe di fuoco. Oh! allora la sua anima atterritaabbandonavasi ai più tristi presagi. Gli orologi battono l’una della notte:gli altri rintoccano l’ora istessapoi un’altra ora. Ognuno di quei tocchile rimbomba in cuorele risveglia mille ideemille speranzemille paure.
«Né ancor si vede! DioDioabbrevia quest’ore crudeli. Fammi rivedereCorradoriconducilo sano a Costanza! Nonotu non potrai consentire altrionfo dell’iniquonon vorrai tu abbandonare l’innocenza. Spiaceti forseche i genitori di Corrado non abbiano benedetto all’amor nostro? Ma tu lo haibenedettooh sìche a te non giunge il fumo della umana superbiatu nonsepari il nobile dal plebeosei padre tunon tiranno.»
«Che è? un’altra oraed egli non vieneed io son deserta; io la piùamante delle creaturee la più tribulata. Forse— ma nolo conosco troppo:non può né scordarminé abbandonarmi Corrado. Piuttosto— né pure: quandomai fu egli timido e irresoluto? Che penso? e coluiquel nostro persecutoresemai per questa orribile notte— Oh gelo in pensarle! parmi vedere— Ah! sonperduta non è quello l’orribile aspetto? Non è la sua orribile voce?— Ah!aiutami Corrado— ma— è nulla; è il vento che fischia alla finestra. Pensoa Corradocosì forse ne andranno le immagini triste. Questa è una ciocca de’suoi capelli— oh! come belli come vaghi: questo è lo anello— senti? batte l’orae Corradonon viene. O Corradohai obbliato la tua diletta Costanza? Vieni!Che non ti veggano i tuoi genitori! Che non ti scuopra il tuo crudele nemico.Questa è pur l’ora— sì egli viene— Il cuore mel dice.»
E così d’uno in altro pensiero passandorammenta il caro sembiantele dolciparoleil sorriso del giovinetto; le pare vederloallorché bello come unangelo passava volando sopra un superbo destriero avanti il limitare della suacasa; le pare sentir il rumor de’ suoi passiil suono della sua cara voce—Uno strepito leggiero è per istrada— il cuore le balza nel senoe precipitaal verone. Tutto è buio e silenzionon si vede persona. Cade alfine perduta disperanza a piè di un lettodov’era quasi figura spirante una vecchiaoppressa dagli anni e da’ malori. La sua bocca si apriva ad una mal’espressaorazione: gli occhi teneva chiusi quasi atteggiati a un sonno eterno; la facciaaveva magra e come cera. Ma quando intese vicino l’alito di Costanzasentìrianimarsi le spente forzeriapersi gli occhila mano scarna le pose sullatesta accarezzandola.
«Figlia tu sospiri? Tu piangi? Oh! dovrò dunque morire dal dolore di vedertisempre penare?»
«Oh madre mia! oh madre mia!» scoppiando in un pianto dirotto sclamava lafanciulla fra singulti.
«Figlia infelice fin dal nascere! Tu povera orfanella non avesti le paternecarezze; tuo padre morì nel giorno istessoin cui a te diedi la vita. Sai dovemoriva egli? nel palazzo de’ Chiaramontanivittima dell’Inquisizionelàavanti un Cristo ch’egli aveva sempre adorato. Tu ne’ primi anni sempreinfermiccia cadente! Ed ora? a che ti ho nudrito con tanto amore? Per menare unavita così trambasciata? Deh! non affannarticor mio. Non rendere disperati gliultimi giorni della mia vita.»
«Oh come resistere? Questa è troppa grande angoscia. Son tre giorni ch’eipiù non si vedetre giorni lunghi di morte. Mi ricorda di quella sera— misuona ancora all’orecchio la sua voce— sento gli urli e le percosse. Diomio! allontana sì tristi presagi. Non è egli l’amor mio? Il mio sposo? Virammenta di quel giorno beatoquando egli caduto ai miei piedi» Costanzadiceva«tu angelo de’ miei giornitu devi essere mia per sempre. Oh qualgiorno felice fu quello! Quante penequanti dolori non dovevano seguirlo!»
E qui ripigliava le lagrimee poi vedendo il dolor della madreacchetavasialcun pocoe frenava il suo pianto. La madreastratta ne’ suoi pensieritornava nella sua attitudine di morte. Costanza si fece alla finestra a guardareil tristo spettacolo della naturache ben si addiceva allo stato angosciosodella sua anima; e rimase estaticaimmobileatteggiata quasi statuetta soprauna tomba a rappresentare la fede o l’amore di una vergine rapita nel fioredegli anni.
Era capo la notte; un buio densissimo involgeva gli alti campanilie i sontuosipalagi non meno che l’immensità delle acque. Un freddo di neve ghiacciava l’aria.Non un raggio di stella che squarciasse quelle tenebre spaventose: non una voceche rompesse quel terribile silenzio. Tutto era rivestito dell’orrore dellanottee annunziava il solenne riposo della natura. Palermo seppellita nel sonnonon mandava a quella solitudine il menomo mormorio.
Tutt’a un tratto comparve una barchetta: ella usciva da Santa Lucia. Quattrobraccia nerborute ne guidavano il moto incerto e barcollante all’urto delvento e delle onde. Un uomo avvolto in un mantello stava piantato sulla prorainsensibile al ventoche fischiava nel suo voltoei volgeva la testa all’indietroquasi temesse d’essere inseguitopoi guardava in avanti come se cercasse diaffrettare il corso della barca. La barca intanto radeva il seno della vastabaiavoltava il timone verso il Castello della Garitae toccava la rivainnanzi la casa di Costanza. Ne uscì allora l’uomo ammantellatoche venutosotto il verone pronunciò sommessamente il nome di Costanza.
A Costanza balzò l’anima nel pettocome scossa da elettrica forzae sislanciò nelle scale.
«CorradoCorrado!» sclamando con voce tremante per la piena della gioia che l’inondavae cadde nel seno di lui scoppiando in lagrime dirotte.
Corradoquando fu salitogittò indietro il mantello per respirareliberamentescoprendo così la pallidezza della sua faccia. Il suo turbamentonon poteva sfuggire agli occhi di Costanza.
«Qualche nuova disgrazia? Forse i tuoi genitori— forse?— parla rispondi.Oh! purché non cambi il tuo coreson pronta a soffrire ogni colpoche l’avversafortuna possa vibrare a mio danno.»
Allora Corrado narra i pericoli che li minacciavanol’attacco ch’egli ebbecon Prosperoda cui uscì vivo per miracolo; come i genitori avevano saputoogni cosaed erano in sulle furie; e come l’avevano ristretto in un castellocon minaccia che non sarebbe di là uscitose non quando si fosse imbarcato perIspagna: quella notte essere destinata per rapirla dalle sue stanzee portarlain luogo dove di lei non si sapesse novellae obbligarla a torre in marito unde’ suoi vili servi: molti scherani dovere eseguire a notte avanzata l’attocrudele; essere egli di ciò stato avvertito da un suo servo fedeleche gliprocurò la via di evadere dal castello.
Non tacque ancora i pericoli ignotiche gli minacciavano la vita. Tutto insommaera congiurato contro l’amor loro. La fuga essere necessariaimperiosainevitabilenon trovarsi altro mezzo di scampo; una barca coi suoi armigeridover fra poco venire a salvarli dalla persecuzione del padre almeno per quellasera; al resto avrebbe Iddio pensato. Quando sarebbero lontanie si saprebbeche ci fossero sposiin che avrebbero potuto nuocergli? Gli amici suoifrattanto si sarebbero adoperati presso i genitori per ridurli a più mitipensieri. La madre di lei sarebbe stata provveduta d’ogni cosafinchéavessero potuto farle giungere notizia del loro destino. I pericoli in sommaerano imminentila fuga necessariai mezzi pronti. O fuggireo perdersi persempre.
«Che ne sarà di tefiglia mia?» sclamava la madre. «Ho un neropresentimento: il cuore mi dice gran cose sinistre. E quando mai l’ebbifelici? Di me misera e cadente vecchia già non mi curo. La vita è per me comela scintillache sta per ispegnersi. Tu vuoi lasciarmi dunque per darti inbraccio ad un uomo? Ma dìti amerà lui come ti ho amato io? Io vedi ti hoportato nelle viscere mie come un dolce peso ad onta di fieri doloricol miolatte ti ho nutritoho vegliato le notti intorno alla tua culla perchétranquilla dormissi i tuoi sonniti ho scaldato nelle mie braccia persollevarti dal freddocol mio fiato ho rianimato il tuo quasi spento fiato. Oh!l’amore di madre è immensoincredibilegrandetutto cede all’amorematerno. Ma val’amore per l’uomo vince quel per la madre. Va figlia—giacché il cielo lo vuoleappoggiatial nuovo sostegno— appena io basto ame sola. Egli è tuo consorte. Tu Corradofiglioabbile cura; è tua.»
Allora Costanza e Corrado s’inginocchiano avanti il letto.
«Madreogni speranza è riposta nella velocità della fuga. Benediteci.»
La madre gittò un sospiro quasi presaga di sventuraalzò gli occhi al cieloe ponendo loro le mani sulla testa: «Che la Vergine santa vegli sulla vostrafelicitàfigli mieie vi scansi da ogni pericolo. Vi benedico.»
«Affrettiamocimia Costanzanoi siamo a tempo di fuggireodo il rumore de’remi.»
Ei corse al balconee a uno sguardo si avvide che non si era ingannato. Unabarca con dentro i suoi armigeri si avvicinava. Allora Corrado gitta il mantellosulle spalle di Costanzale adatta il suo cappello alla testa per nasconder chefosse una donna. Egli indossa l’abito d’un suo servoe si preparano aduscire.
Nel punto istesso due ombre si appostano a pochi passi dalla casa di Costanzaavvolti nel pastrano.
«Questa è appunto l’orain cui suole lasciar la sua bella.»
«Per San Paolo! l’abbiam atteso per due sere! Questa è la terza. C’è unoscuro che si taglia col coltello. La notte è a proposito. Oh! se egliuscisse!»
«Vevèsi apre la porta.»
«È lui è lui senz’altro. Il servo lo accompagna. Non vedi il mantello?»
«Inarca lo schioppo anche tu. Tiriamo a una volta senza perder più tempo. Anoi.»
A quelle parole seguono due colpi di archibusi; a’ colpilamentevoli gridaegrida di rabbia e di dolore. Sbalzano a terra gli armigerie vengonofuriosamente; accorrono i vicini con fiaccole accese: veggono scena orrenda: ilterreno imbrattato di sangueun cadavere disteso avanti il limitare della casa.
«Ai traditori» sclamano furibondi«ai traditori.»
«Non vedi? essi fuggono.»
«Corriamo.»
«Tu per porta Carbone.»
«Voi torcete a man sinistra.»
«Circondiamoli.»
«Vendetta fino all’ultima goccia di sangue.»
«Ai traditori.»
E ratti si danno a tutta lena a seguirli. In breve tutti sgombranole gridacessanotutto diviene deserto: un silenzio terribile regna in quei pochi luoghifunebri e maledettisolo interrotto dalla stridula voce d’una vecchia chestringe fra le braccia un cadavere.

Intanto i due traditori fuggono come saettae si avviano verso il piano diSan Cosmo. L’orologio della città suona la mezzanotte. I soliti ammantellatientrano nella grotta; la lampade funerea rischiara cupamente le volte tenebrosetutti prendono posto per le nicchieavvolti in ampie vesti nere. Una vocetremenda s’innalza nel terribile congresso.
«Corrado è uccisola giustizia vendicata.»
«Non ancora» grida uno stuolo di armigerialla cui testa è Corrado«nonancorascellerato: ma lo sarà in breve colla tua morte.»
Corrado era rimasto vivoi colpi vennero alla povera Costanzache cadde aterra imbrattata di sanguecol petto squarciatola faccia smortagli occhivelati.
«Oh Dio!» sclamando«mi sento morire— abbracciami— muoio contenta nelletue braccia.» Né più dissee spirò l’ultimo fiato.
Furente di rabbia e di vendettail vedovo consorte seguì i passi de’ suoitraditorifinché li vide recarsi al solito luogo. Adunò i suoi armigeriatterrò le portee balzò improvviso e tremendo nella sala. Le lampadigittarono una luce risplendente sotto le voltee fu vista la congrega orrenda.Prospero impallidì scorgendo vivo Corrado. Tutti posero mano alle armima lasala era ingombra di guardiee si videro a un punto sorpresi e vinti.
Il domani fu palese l’infame telail tremendo tribunaleil feroce istitutofu spersa la congrega dei Beati Paolimurata la porta. Prospero e il compagnosi videro penzolar dalla forca. Essi erano stati gli uccisori di Costanzacredendo uccider Corrado.
Così ebbe fine quella terribile e segreta magistraturase così può dirsicosa illegale; ma ne rimase un’altra dalla legge approvatanon meno segreta eterribile. L’Inquisizione rinnovò i suoi Atti di fedei Baroni continuaronone’ loro privilegie nell’esercizio della loro forza. Poco dopo entravaVittorio Amedeo fra le acclamazioni del popolo. La viceregia potenza spagnuolacessavae i siciliani aprivano il cuore a speranze di migliore avvenire. Non v’èpopolo così entusiasta pei suoi Re quanto quello di Palermo. Egli espresse lasua gioia acclamando per le stradeal Duomodove incoronossi e giurò diconservare i diritti della nazionee di renderla felice. Ma la felicità èdono del cieloche rado discende ai mortali. Pochi anni ancora e Vittoriopartivae con lui ogni speranza di bene. Poco dopo un altro eccelso Reincoronossi nel Duomoche risuonò altra volta di lieti canticidi giuramentidi promessedi speranze. Ella doveva essere l’ultima incoronazione.